Anno 750 P.D.
40 anni prima dell’incoronazione di re Bertrand Dwendal, il giovane Brock Dummaroff ha ricevuto, come gran parte dei suoi coetanei, l’addestramento di base al combattimento armato. La sua famiglia annovera tra gli avi diversi eroi del periodo della Calamity. Brock sogna di entrare a far parte dei Monolith, la leggendaria guardia cittadina, ma la sua giovane età e la mancanza di esperienza gli impediscono di realizzare il suo sogno.
Brock conosce le antiche leggende: il Clan Grimgol che è costretto a scappare nel sottosuolo durante la Calamity, gli scontri continui con le creature fedeli ai Betrayer God, poi la risalita in superficie e l’esodo a Nord con la fondazione della città di Grimgolir.
Il giovane nano vuole scrivere la storia del suo popolo, annoverare il suo nome tra quelli degli eroi della città. E l’est del continente gli offre l’occasione per dimostrare il proprio valore. La zona dei mostri: chiunque riesca a sopravvivere a Xhorhas merita il rispetto dei Grimgoliriani.
Brock decide di scavallare la montagna utilizzando il passaggio a Nord. Si tratta di un sentiero stretto e pieno di insidie. Il giovane nano non ha mai percorso quella strada, ma ha ascoltato tutti i racconti dei Monolith che hanno partecipato a spedizioni dirette ad est e sa di poter raggiungere Xhorhas anche da solo.
Si procura equipaggiamento e viveri. Ruba poi il martello da guerra con cui i suoi avi si sono distinti in battaglia e si avvia, di nascosto, verso il suo glorioso destino. Impiega 5 giorni per raggiungere Brokenveil Marsh. La gigantesca palude si è formata durante la Calamity a seguito della battaglie durante le quali le Divinità hanno distrutto le vette di Ashkeeper Peaks.
Il terreno è fangoso ed insidioso. Secondo alcuni Monolith, nella palude vivono creature talmente enormi che si corre il rischio di camminarci sopra scambiandole per colline.
Brock cerca una preda alla sua portata: vuole un trofeo col quale tornare a casa da eroe. In silenzio si addentra nella palude. Osserva con attenzione tutto ciò che lo circonda. Come un cacciatore navigato, sente di essere pronto per quella sfida.
Un profondo verso richiama la sua attenzione. Al riparo della fitta rete di alberi si sporge per scorgere la sorgente del suono. Ad una trentina di metri, il terreno comincia a sollevarsi. Il fango scivola via scoprendo un gigantesco carapace che, lentamente, emerge dalle acque della palude. Una tartaruga delle dimensioni di un palazzo inizia a muoversi portandosi via con sé un pezzo di foresta.
Brock è affascinato ed eccitato. D’istinto inizia a seguire l’immenso animale e, per un attimo, si dimentica dei pericoli che lo circondano. Poi uno schiocco secco lo riporta alla realtà. Ad una quindicina di passi, un essere è chino a divorare la carcassa di un animale morto. Con i denti ha spezzato un osso della sua cena producendo il rumore sentito da Brock. L’essere e’ di spalle e sembra non aver notato la presenza del nano.
Ha 4 braccia ed è alto 3 metri. Ha bicipiti larghi quanto il Busto di Brock. Il ragazzo non ha mai visto una creatura simile: nella sua mente quell’occasione diventa un segno di Moradin che gli indica il suo trofeo. Si avvicina di soppiatto, pronto a colpire la bestia alla testa con il suo martello. Gli mancano un paio di passi. Brock alza il martello verso l’alto e realizza che la sua preda lo ha sentito arrivare.
Essa si gira di scatto. Uno dei suoi possenti bracci colpisce Brock al torso e lo lancia in aria. Il nano atterra sulla schiena, il fiato fuoriuscendo dai polmoni in un doloroso rantolo. Il martello da guerra gli e’ sfuggito dalle mani ed e’ finito a qualche metro di distanza. La bestia si gira a guardarlo. Ha quattro occhi rossi e assassini. La bocca si schiude mostrando denti aguzzi e famelici. Si sta preparando a saltargli addosso e a mettere fine alla sua avventura.
Brock si chiede come ha fatto ad essere cosi’ stupido. Come ha fatto a mettersi in un guaio come quello. Come ha potuto pensare di sopravvivere, senza aiuto, alla zona piu’ pericolosa di Wynandir. E’ stato presuntuoso, avventato, stupido.
Mentre raccomanda la propria anima a Moradin, cinque umanoidi spuntano da dietro gli alberi della palude. Indossano armature nere con spine sulle braccia ed un elmo che ricorda la testa di un ragno. Sono coordinati, veloci, precisi.
Uno di loro indossa un’armatura piu’ chiara degli altri. Richiama l’attenzione della bestia, distraendola da Brock. Altri tre la colpiscono ai fianchi, e poi arretrano velocemente, confondendo l’animale che cerca, invano, di colpire i nuovi assalitori.
Il quinto umanoide tiene in mano uno strano anello di metallo nero del diametro di circa un metro. Giunge alle spalle del feroce animale e gli chiude l’anello al collo, come un collare. La bestia si ammansisce immediatamente. I soldati assicurano un guinzaglio al collare, come stessero portando a spasso un animale domestico.
L’umanoide dall’armatura chiara si toglie l’elmo. Ha lunghe orecchie da elfo, ma la sua pelle e’ scura come il cielo d’inverno. Brock non ha mai visto esseri come quelli. L’umanoide dall’armatura chiara lo aiuta ad alzarsi. Gli restituisce il martello da guerra. Poi gli parla, in una lingua che Brock non comprende.
L’umanoide si rende conto che il nano non capisce le sue parole. Allora si inginocchia davanti a lui. Gli fa segno, indicando la montagna, di tornare a casa. Gli sorride, come un padre che ha sorpreso il figlio a commettere una marachella. Quell’essere gli ha salvato la vita perche’ ha visto in lui un ragazzo troppo giovane per capire la differenza tra coraggio e stupidita’.
Brock torna a casa senza un trofeo. E’ stanco ed affamato. Ma non e’ piu’ un bambino. Ha imparato alcune lezioni importanti. Bisogna rispettare il proprio nemico. Bisogna usare la testa prima di agire. A Xhorhas non ci sono solo mostri.